Nel corso degli ultimi cinquanta anni ne abbiamo sentite e conosciute diverse. Parole dal significato misterioso ed ambiguo, che si prestano a varie interpretazioni a seconda della cultura e della fantasia di chi le usa e le ascolta. Termini quali il tedesco Weltanshauung o la Obsolescenza di gran moda nei primi anni settanta, abusate per qualche anno e poi abbandonate e dimenticate dai più. In questi ultimi anni molte parole di origine latina sono state riscoperte e riadattate dalla colta letteratura scientifica anglosassone e noi, in Italia, le abbiamo recepite ed accettate con rispetto ed ammirazione, senza ben coglierne il reale significato e nemmeno l’antico, che dovrebbe culturalmente appartenerci. Così sentiamo molti personaggi che, parlando in italiano, fanno riferimento ai “MIDIA” alle strutture “AGIAIL” ed altre amenità del genere. Ora è di moda la Resilience, per noi italiani Resilienza, dal latino resiliens.

Cosa si intende per resilienza? Consultiamo i vari dizionari e ci accorgeremo che, aldilà del linguaggio scientifico, il termine ha acquisito nel tempo varie accezioni, a seconda del contesto in cui viene utilizzato, sempre più ambigue e lontane da quella originale, che si riferisce alla capacità di non subire deformazioni permanenti a seguito di una sollecitazione esterna. Per non cadere in equivoci ed imprecisioni rimando all’interessante testo della Treccani:

Resilienza, una parola alla moda | Treccani, il portale del sapere

Nel contesto di improcrastinabile transizione ecologica, tecnologica e, auspicabilmente, metodologica di cui si continua a parlare, la resilienza che tutti auspicano ed invocano a quale “condizione iniziale” del nostro percorso evolutivo, sociale e tecnologico, ci dovrebbe riportare? Qualcuno lo può e lo vuole chiarire?