Lo vidi scritto nei primi anni ‘80 in Arabia Saudita, su un grande cartello murale, appeso dietro la scrivania del rappresentante di una importante società di costruzioni italiana.
Con l’entusiasmo dei miei 30 anni giudicai che la negatività di quella frase, così ostentata, esprimesse anzitutto la frustrazione di un perdente. Lo penso ancora. Anche se alcune successive esperienze mi hanno permesso di immaginare quali circostanze potessero aver indotto il collega, all’ora di mezza età, a fare sua quella ambigua espressione, è bene essere molto prudenti nel dissociarsi o autoassolversi quando una serie di circostanze avverse e fatti negativi si traducono in un nostro insuccesso.
Su cosa può trionfare l’imbecillità? Sulla logica, l’intelligenza, la razionalità, il diritto? E come può trionfare? Con l’inganno, la cieca arroganza, il potere gerarchico, la minaccia? Non si può escluderlo ma occorre chiedersi se Il perdente è stato veramente sopraffatto o piuttosto, essendo distratto, impreparato o in mala fede, si è arreso senza combattere; senza esprimere ed argomentare con coerenza le proprie ragioni finché ne ha avuto la possibilità. Ciò vale per il singolo, per i gruppi e anche nelle relazioni sociopolitiche.
E’ vero, a volte l’imbecillità sembra trionfare; soprattutto leggendo i titoli dei quotidiani. Gli esempi non mancano a tutti i livelli, anche nella gestione dei più disparati progetti, dalle costruzioni alla politica. Credo tuttavia che molti sconfitti, dopo un attento autoesame del loro comportamento, non si possano sentire onorati.
*Imbecillità: Indebolimento o scarso sviluppo dell’intelligenza. (Devoto-Oli)
Immagino tale frase venga da una profonda frustrazione, un modo di passare comunque un messaggio che si reputa altresì non ascoltato.
Penso vi possano essere casi di onore nella sconfitta (uso della non violenza, fedeltà ai valori fondamentali in contesti non etici, …) ma non arriverei a generalizzare il concetto, specialmente nel business e nella politica (che sempre più sembra ispirarsi al business anziché alla protezione della RES PVBLICA).
Per essermi personalmente ritrovato in contesti in cui la “saggezza” del potere centrale lega le mani agli operativi ed impone scelte inadeguate ma in linea con strategie mirabolanti, il tutto accompagnato da una buona dose di arroganza – una persona saggia mi ha spesso parlato dell’arroganza dell’ignoranza – capisco la frustrazione espressa dalla frase citata; la immagino rivolta più “a chi di dovere” che non alla maggior parte dei visitatori – che vi fosse una “visita parenti” programmata per quel giorno? Se la capisco, non l’avrei comunque ostentata: personalmente conservo il senso dell’insuccesso per non aver trovato il modo di aggirare i vincoli imposti ed attuare comunque le scelte giuste. Aggirare, sì: perché se a volte siamo noi a non saper ben argomentare (e qui possiamo fare qualcosa: prepararci meglio e tornare alla carica!), vi sono casi in cui chi ci sta di fronte non è interessato ad ascoltarci, poiché la nostra presentazione è solo una “farsa educata” e le decisioni sono state prese ben prima di consultarci.
La storia finisce sempre per rendere onore al vero (se si esclude quella riscritta dai vincitori) ma questo porta un’ahimè magra consolazione, incapace di risolvere la frustrazione… e soprattutto di porre rimedio agli errori.
È difficile per chi siede nella “torre d’avorio” delegare e fidarsi di chi sta sul campo, specialmente sotto la pressione crescente di stakeholders che siedono ancora più lontani e che sono sempre più disinteressati alla realtà operativa. Difficile pensare che su determinati argomenti qualcuno di meno “graduato” possa saperne più di noi… quasi impensabile ormai pronunciare la frase che ci viene insegnata da bambini: “scusatemi, ho sbagliato”.
L’uomo sembra reticente nell’imparare dai propri errori, e continua a sottovalutare il fatto che, a parità di input e di processo, non ci si possa aspettare un output in controtendenza. Perché con tanti esempi di fallimenti i “guru con l’MBA” continuano a proporre le stesse soluzioni “prezzemolo”, anziché ammettere che il mondo è bello perché è vario?
Temo che finché vi saranno individui che perseguono il “massimo risultato col minimo sforzo”, vi saranno persone frustrate e danni compiuti nel nome dell’interesse degli azionisti.
Per concludere: la responsabilità reputo sia sempre quantomeno condivisa… anche quando gli errori ci sono imposti, dovremmo poter trovare il modo di opporvici o quantomeno mitigarli. E quando siamo noi a sbagliare… bhé, trovo assolutamente onorevole ammetterlo, avendo in mano un piano di recupero.
Resta inteso che l’ascolto delle argomentazioni di tutti gli stakeholder sia una fase inalienabile di un processo decisionale efficace.