
Negli spensierati anni del liceo, quando studiando equazioni e funzioni matematiche si comincia a intuire che non tutti i problemi hanno una soluzione unica e sempre valida, un gruppo di compagni teorizzò un artifizio per arrivare rapidamente, e senza sforzo, al risultato utilizzando la costante di FoBo, dal nome dei due ideatori. Nella sua accezione più semplice la costante di Fobo fu così definita:
Quel valore K che sommato al risultato errato fornisce il risultato corretto.
Questo goliardico e semplicistico espediente mi è tornato in mente, dopo tanti anni, ascoltando una serie di notizie, anche molto recenti, relative alla diffusione di indici, parametri e graduatorie di ogni tipo. La nostra società, ormai sommersa dai dati, si è giustamente dotata di una serie di indicatori che dovrebbero servire a misurare le performance un po’ in tutti i settori: dall’economia e finanza, all’ecologia, fino alla libertà e alla felicità. Governi, multinazionali, imprese ed organizzazioni varie sono chiamati a confrontarsi con questi indicatori e ad adeguarsi, operando per raggiungere il risultato più o meno ambito. A questo punto la fantasia, e a volte la goliardia, mostrata dai vari responsabili, che spiegano come hanno ottenuto o otterranno il risultato agognato, supera certamente quella dei giovani liceali. In effetti essi si preoccupano di esporre il risultato esatto, senza occuparsi dell’effettivo svolgimento dell’esercizio, che dovrebbe condurre alla soluzione; rispettando le regole, senza trucchi e artifizi. La costante K, o il suo equivalente, assume allora connotazioni a volte esilaranti, a volte preoccupanti. Essa permette di aggirare le regole dell’algebra e quelle dei campi di esistenza di alcuni parametri, attribuendo valori numerici a entità incommensurabili. A volte, per aggiustare il risultato, essa assume anche un concreto valore monetario… E non è sempre chiaro il rapporto tra chi avrebbe il dovere di svolgere l’esercizio e chi, a vario titolo, lo propone. Il ruolo dell’esecutore e quello del controllore è spesso confuso e intercambiabile. Si finisce così per non capire chi abbia truccato il risultato e chi, dovendo controllare e correggere, abbia finto di non vedere.
Ogni riferimento a fatti o dichiarazioni realmente accaduti nel Bel Paese immagino sia puramente casuale…!
Resta acceso il dibattito su come ahimè la nostra società tenda sempre più spesso a confondere strumenti e risultati. L’indicatore o, meglio, il suo valore obiettivo diventa quindi il fine ultimo da perseguire. La logica di corto periodo e l’estraniazione dalla visione globale diventano quindi prima accettabili, poi consuetudini, ed infine percepite come virtuosismi.
Gli esempi nella finanza, nell’industria ed in politica non mancano. Quello che servirebbe, è che ci fermassimo tutti un momento, per fare il punto sulla strategia di partenza e sulle motivazioni che ci hanno spinto, a suo tempo, di scegliere certi indicatori piuttosto che altri, affinché il raggiungere un obiettivo “a qualunque costo” torni ad essere un’aberrazione e non più una legittima aspettativa.
Perseguire il numeretto senza curarsi di dove siamo e di dove il piano d’azione scelto ci stia portando ci apparirebbe allora come un’assurdità… sebbene sia quello che i più tra noi facciamo quotidianamente sotto la “pressione del risultato”, senza nemmeno rendersene conto.