le parole di un politico valgono nel momento in cui vengono pronunciate
Secondo la teoria di un vecchio saggio democristiano, ripresa da alcuni suoi ex seguaci, “le parole di un politico valgono nel momento in cui vengono pronunciate”. L’affermazione potrà stupire qualcuno ma risulta perfettamente in linea con l’antica saggezza latina, che l’aveva già adottata, e non solo per i politici. Ciò che dovrebbe stupirci, e certamente stupirebbe anche i saggi latini, è la volatilità degli scritti. Ridotti sempre più spesso a semplici cinguettii, o a proposte con scadenza a fine settimana, compaiono e scompaiono dai nostri schermi come gli uccellini saltano da un ramo all’altro. Si fa uso dello scritto come un mezzo di persuasione occulta ed il lettore, ormai assuefatto allo scorrere incessante delle parole, percepisce il messaggio solo superficialmente facendosi attrarre dagli aggettivi e dai verbi, senza spesso comprendere la struttura della frase e nemmeno distinguere tra soggetto ed oggetto. Spesso si sintetizza un discorso o un testo con una nuvola di parole che, se facilita una analisi rapida della terminologia, dice poco circa il reale contenuto del messaggio e nulla sulla credibilità della sua struttura logica. Anche a questo subdolo inganno ci stiamo abituando, perdendo sempre più le nostre capacità di critica e di controllo. Il risultato è che le nostre certezze hanno un ciclo di vita sempre più breve. Alcuni filosofi già da qualche anno sostengono che la tecnologia, che media la nostra percezione del mondo esterno, possa e debba essere moralizzata. Il tema è molto controverso perché rischia di mettere in gioco le libertà fondamentali dell’individuo e richiede che i criteri etici, e non il marketing, ispirino i progettisti. Che sia più semplice moralizzare la tecnologia piuttosto che gli esseri umani?
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