"Je sais perdre, je casse".


Lo disse il Project Manager di una nota impresa di costruzione francese che, alla fine del secolo scorso, realizzava in Arabia Saudita un prestigioso edificio. Io so perdere, demolisco. Si riferiva ad una rampa di scale, in calcestruzzo, che per misteriose ragioni non terminava allo stesso livello del piano, in acciaio, a cui avrebbe dovuto dare accesso. Chi aveva sbagliato? Se ne sarebbe potuto discutere per settimane. A quei tempi non c’era il BIM. Nella sua posizione di comandante in capo diede ordine alla propria impresa, la capogruppo, di sbloccare la situazione. Era lui il responsabile ultimo, se ne assunse l’ onere ed il danno e non fece fermare i lavori. Questo episodio, mi torna in mente ogni volta che, nelle situazioni più disparate, qualcuno si rifiuta di riconoscere i propri errori, le proprie responsabilità o inadeguatezze. In generale imputandole agli altri o alla sfortuna.

Nella società dell’eccellenza non è facile ammettere di aver sbagliato, soprattutto quando si è raggiunta una posizione di vertice. Tuttavia, superare questa naturale ritrosia permette di crescere professionalmente e umanamente. Di realizzare sinergie e collaborazioni inaspettate e positive. Di acquisire quell’autorevolezza che manca a molti leader. La ricerca del successo personale, ad ogni livello e ad ogni costo, ci spinge spesso ad ingannare gli altri ed anche noi stessi. I risultati possono essere disastrosi, dal punto di vista professionale ed etico ma anche per l’intera società. C’è differenza tra successo e prestigio, tra autorità e autorevolezza. Facciamo le nostre scelte come singoli, gruppo, società costituita.

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